In un anno reddito giù del 25%
di Antonio Castro
I nuovi poveri parlano il dialetto, vivono all’aria aperta e mangiano, spesso, ciò che producono. Non è l’identikit di un neo fricchettone amante della vita bucolica la radiografia asettica che fa Eurostat dei lavoratori agricoli (una volta si sarebbero detto contadini, senza vergogna e senza imbarazzo). La summa è questa: i contadini italiani nell’ultimo anno hanno perso il 25% del proprio reddito. E gli altri in Europa non stanno meglio. Secondo l’Istituto di statistica europeo, infatti, sono calati nettamente i redditi degli agricoltori dell’Unione europea. Nel 2009 la diminuzione nell’Ue a 27 è stata del 12,2% (dopo il calo del 2,5% nel 2008), ossia circa la metà di quella italiana, pari al -25,3% . Il calo, dovuto ad una importante diminuzione dei prezzi alla produzione, ha colpito 22 paesi dell’Ue, mentre in cinque Stati membri c'è stato un aumento.
Il calo più netto è stato quello dell’Ungheria (-35,6%), seguito da quello dell’Italia (-25,3%), dal Lussemburgo (-25,1%), della Repubblica ceca (-24,1%), dell’Irlanda (-22,3%), della Germania (-21,0%), dell’Austria (-20,4%) e della Francia (-19,8%). Gli aumenti più importanti sono stati quelli della Gran Bretagna (+14,3%), di Malta (+9,1%) e della Finlandia (+2,6%).
Quello che a Bruxelles i tecnici di statistica non dicono è il peso rispetto al Prodotto interno lordo che l’agricoltura ha nei singoli Paesi. È facile intuire - e non serve un master in analisi statistica - che il peso dell’agricoltura nel nostro Paese è di gran lunga più consistente che in Finlandia o a Malta. E quindi un calo dei redditi del 25% per gli agricoltori italiani è ben più grave che per quelli maltesi. Scorrendo la statistica si scopre che peggio di noi nel Vecchio Continente ci sono solo gli ungheresi, che però hanno la scusa di aver soggiornato per qualche decennio nell’ex blocco socialista.
Nel 2009, sottolinea ancora l’ufficio di statistica , «il valore della produzione agricola (prezzi alla produzione) dovrebbero diminuire nell’Unione europea del 10,9 per cento. La più forte riduzione dei prezzi è quella che riguarda i cereali (-27,5 per cento) seguita dal florovivaismo (-15,6 per cento), dall’olio d’oliva (-14,7%) e dalla frutta (-12,3%). Quanto al comparto dell’allevamento, le più significative diminuzioni dei prezzi sono quelle che riguardano il latte (-20,3 per cento), i suini (-4,2 per cento) e i bovini (-1,8 per cento).
Non si salva nessuno. Tutti i comparti produttivi tradizionali dell’Italia agricola devono incassare un calo dei prezzi. E non che nei mercati o supermercati i consumatori traggano beneficio da questa contrazione. Come dimostra la recente indagine della magistratura sui rincari della pasta e sul crollo del prezzo del grano duro, tra materia prima (che perde valore) e prodotti trasformati (che costano sempre di più) a rimetterci sono soprattutto gli agricoltori e i cittadini. “È il libero mercato, la legge della domanda e dell’offerta”, sostengono i paladini del liberismo. Ma non è proprio così. L’Italia contadina è composta di migliaia di piccole e medie aziende. I grandi latifondi, grazie a Dio, non esistono più. Pochi ettari per famiglia mandati avanti a colpi di fatica, sudore e sacrifici. Il ministro delle Politiche Agricole, Luca Zaia, che la terra la conosce bene, parla di «estrema frammentazione del patrimonio agricolo». E poi corre come la Croce Rossa tra un’emergenza e l’altra: dalla mozzarella al Brunello taroccato.
La promozione del made in Italy agroalimentare è diventata una bandiera dell’italian style. Eppure i nostri agricoltori riescono a malapena - salvo rare eccezioni - a mettere insieme il pranzo con la cena. Poi è un bel parlare di “dieta mediterranea”, prodotti salutari e compagnia cantante. Il problema è che il milione di imprese agricole italiane - e su questo Confagricoltura, Coldiretti e Cia una volta tanto concordano - fanno fatica a tirare la fine del mese. Più o meno come le famiglie degli operai nelle metropoli. Senza contare gli adempimenti burocratici quasi quotidiani che rubano ore di lavoro sul trattore e costano miliardi di euro l’anno tra bolli e adempimenti fiscali. Se è vero che i giovani devono tornare alla vita dei campi, è anche giusto potergli offrire un salario dignitoso. Magari un po’ oltre la fascia di povertà delle statistiche.
Antonio Castro
Fonte www.libero-news.it
domenica 20 dicembre 2009
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