Le condizioni disumane in cui vivono gli immigrati nella piana di Gioia Tauro fanno torcere le budella a chiunque, e chiunque è intitolato a protestare. Figuriamoci loro, gli immigrati. In un certo senso, sono solidale con le loro spranghe più di quanto apprezzi, compito non difficile per una persona umana, i generici appelli alla pacificazione degli animi, alla fine delle violenze, ad abbassare i toni.
Però, sveglia! Mi volete spiegare come mai nell’eterno sud populista, lassista, familista, pauperista succede quello che succede, guerriglia civile, ferocia scatenata, rivolta e controrivolta, infine deportazione forzata dei neri raccoglitori di agrumi da un inferno all’altro? Mentre nel Veneto gretto, piccolo borghese, minimprenditoriale, piastrellaro, razzista, xenofobo, leghista, e in particolare a Treviso dove non comandano i progressisti che hanno letto Giustino Fortunato ma i reazionari che parlano come l’ex sindaco Gentilini; come mai dunque a Treviso decine di migliaia di immigrati sono via via integrati nel sistema dell’economia di mercato, nella società civile dove non ci sono Libera e i don Ciotti e i volontari benemeriti di ogni sorta di assistenza, ma fabbrichette, capannoni, consumatori, esportatori e altra vil razza dannata del capitalismo dei distretti industriali?
La libidinosa voglia di ergersi a favore dei deboli, in una gloriosa spirale retorica in cui è dannato il razzismo inconscio degli italiani, incentiva la paura sociale, l’emarginazione degli ultimi, l’egemonia del più forte nel controllo del territorio, compresa la criminalità organizzata, e sfocia regolarmente nel dramma di società, da Castelvolturno a Rosarno; invece il cinismo politicamente scorretto dell’imprenditoria nordista diffusa, dell’investimento a scopo di profitto da salvaguardare costi quel che costi, della tutela del rapporto di compatibilità tra immigrazione e recettività del mercato del lavoro, delle varie ideologie securitarie, ecco la soluzione pratica che organizza, integra, pacifica e funziona paradossalmente come motore di civiltà e traino economico, divisione della ricchezza e solidarietà efficiente.
Infine: come è possibile che in parte del nostro Mezzogiorno ci sia gente immigrata costretta a vivere come topi, in condizioni di lavoro arcaiche e paraschiaviste, mentre i nativi, cioè noi e i nostri fratelli e sorelle italiani, se la cavano con il lamento eterno della disoccupazione e con il lavoro nero fluente, affluente e parecchio connesso al dominio criminale sul territorio? Non sono leghista né qualunquista, ma non capisco come possa essere condannato il ministro dell’Interno per aver detto l’ovvio: anni di incompetente e retorica lassitudine hanno lasciato che crescesse il fenomeno della immigrazione irregolare, che secondo tutte le testimonianze, compreso don Ciotti, è l’ordito in cui si intrama la ruvida rete del governo criminale della Calabria, della Campania e di altri pezzi del sud italiano.
Se invece di fare polemiche ideologiche belluine cominciassimo ad ammettere le cose semplici? Per esempio che non è l’assenza caritatevole dello stato il responsabile del degrado di Rosarno e della sua appendice naturale di violenza, ma la presenza dello stato, invece, nella forma truffaldina dell’assistenza che diventa il brodo di coltura e il bottino della ‘ndrangheta, il grande alibi per la generale assenza di libertà e di responsabilità. Solo una ondata distruttiva e creatrice di capitalismo, con i suoi costi e ricavi, può rimettere a posto la società meridionale, che divide con gli ultimi della terra la propria infinita miseria e di tanto in tanto deve subire il dramma della loro rivolta.
Giuliano Ferrara
Fonte www.ilfoglio.it
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