mercoledì 21 luglio 2010

Arginare le forti ondate ritrovare la spinta

Commenti
Qui Sud/I nodi dello sviluppo e del lavoro

La Svimez documenta, con toni cupi, la situazione dell’economia del Mezzogiorno nella grande crisi. Nessuna sorpresa. L’ondata della recessione ha colpito con grande violenza l’intero Paese, la più forte del dopoguerra. Ma vi è di più, che spiega il presente e deve far riflettere sul futuro. L’ondata della crisi ha colpito un’Italia, a tutte le latitudini, indebolita da un decennio di bassissima crescita, la minore del dopoguerra.

Il Sud ne ha molto sofferto, dato che presenta accentuati alcuni caratteri di debolezza del sistema produttivo nazionale: bassa dimensione d’impresa; poca ricerca e innovazione; più limitata propensione all’internazionalizzazione, specie sui mercati emergenti. E dato che ha minore reddito, e quindi domanda, delle famiglie; maggiore povertà e disagio sociale; più modeste infrastrutture; un peso maggiore del settore pubblico, soggetto a forti ridimensionamenti.

Ma vi è ancora di più. Il Sud (e questa volta solo il Sud) è stato colpito da un’altra forte ondata. Il depotenziamento radicale di quasi tutte le politiche di sviluppo, specie nell’ultimo biennio. Pochi lavori in corso. Nessun incentivo operativo – come ci ricorda la Svimez – per gli investimenti; la loro utilità è dubbia, ma mai come in un momento come questo possono essere utili. Le politiche nazionali di sviluppo territoriale sono andate in soffitta. Il ministero dello Sviluppo Economico è, da molto tempo, in ferie. E, ancora, un’altra ondata; la più pericolosa. Di preoccupazione, di sfiducia; che rende incerti i consumi delle famiglie; fa rimandare gli investimenti; fa guardare al futuro con timore. La sfiducia è forte in tutto il Paese. Ma raggiunge l’apice al Sud. Si incrocia con una narrazione a tinte fosche, dove tutto è camorra o spreco. Gli italiani sono sfiduciati sul Sud; non ne vedono possibile il riscatto.

E forse, forse, sta arrivando un’ultima definitiva ondata. Quella di un federalismo fiscale a senso unico: nel quale la virtù non sta nei comportamenti ma nei livelli già raggiunti. Una prospettiva nella quale la povertà apparirebbe un vizio e i diritti di cittadinanza rischierebbero di diventare una chimera. Non è affatto detto che sia così. Ma purtroppo l’ipotesi ancora possibile. E invece il federalismo fiscale può e deve essere un’occasione di responsabilità e di crescita. Può e deve essere un’onda che spinge e che non travolge.

Incredibilmente, la politica si mostra tenacemente disinteressata al tema. Se ne occupa saltuariamente, per rafforzare ancor più una narrazione sciatta dove tutto (o quasi) nel Meridione è camorra e spreco. Contempla il calo drammatico dell’occupazione, in regioni dove il lavoro per i giovani e le donne è già scarso, senza reagire. Non si interroga sui possibili futuri; non disegna scenari. Spera che ce la caviamo. Non percepisce nemmeno che – in tempi straordinari come quelli in cui viviamo – vi è il pericolo che disagi straordinari producano forme di protesta inedite.
Negli ultimi anni, solo la Conferenza episcopale italiana e la Banca d’Italia si sono poste con serietà il problema dello sviluppo dell’intero Paese, del Nord e del Sud insieme. Sapendo che l’Italia dopo la crisi può tornare a essere forte solo se cresce l’occupazione al Sud. Condizione indispensabile per rendere sostenibili i conti pubblici e un federalismo fiscale rigoroso ma equo; per risollevare la domanda interna; per dare una prospettiva di vita ai giovani e alle famiglie. Per evitare uno smembramento, nei fatti, del Paese. Che non gioverebbe a nessuno.

Di tante cose discute con accanimento la politica italiana ma non di questo: le strade, strette e molto difficili ma possibili, per rilanciare l’occupazione. Ovunque; ma soprattutto al Sud; e soprattutto per i giovani e le donne. Nulla suona più distante dalla realtà del dibattito politico dei contenuti di un grande, ambizioso, progressivo Piano del Lavoro. Ma nulla sarebbe più utile oggi, per l’Italia tutta intera: guardare al futuro; ripartire dal lavoro.

Gianfranco Viesti

Fonte: http://www.avvenire.it/ - 21/07/2010

Mezzogiorno di povertà

Notizie - Politica

Rapporto dello Svimez: nel 2008 al Sud una famiglia su 3 non ha avuto i soldi per vestirsi. Napolitano: il governo ripensi le politiche di sviluppo.

Mezzogiorno in recessione, colpito duramente dalla crisi nel settore industriale, che da otto anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord, cosa mai avvenuta dal dopoguerra a oggi, il cui Pil del 2009 è tornato ai livelli di dieci anni fa. Un'area periferica in cui gli emigrati precari, colpiti dalla crisi, privi di tutele, a parte la cassa integrazione, iniziano a rientrare, ma già pensano a ripartire, dove il tasso di disoccupazione paradossalmente cresce di più al Nord che al Sud, dove 6 milioni 830 mila persone sono a rischio povertà. È la fotografia che emerge dal Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2010 presentato ieri. Una situazione preoccupante sulla quale è intervenuto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendo all'esecutivo di intervenire per modificare le politiche che riguardano il Sud. Non risparmiando critiche ai governi precedenti. «I risultati complessivamente insufficienti delle politiche seguite in passato e la presenza di significative inefficienze – ha detto Napolitano – rendono necessario un ripensamento e possono anche spingere ad una profonda modifica delle modalità e dello stesso impianto strategico degli interventi di sviluppo. Ma è in fatto che il Mezzogiorno può contribuire, attraverso la piena messa a frutto delle risorse, alla ripresa di un più sostenuto e stabile processo di crescita dell'economia e della società italiana fondato anche su una strategia di leale e convinta collaborazione tra le Regioni e lo Stato».

Napolitano ha quindi ricordato che tra i «principali nodi da affrontare» ci sono l'attuazione del federalismo fiscale, le politiche di coesione dell'Unione europea, la qualità dei servizi pubblici, la formazione ed accesso al lavoro dei giovani ed il ruolo del sistema bancario. La situazione del nostro Mezzogiorno è effettivamente drammatica. Dal rapporto dello Svimez emerge che il 14% delle famiglie meridionali vive con meno di 1.000 euro al mese e ben il 44%, quasi una famiglia su due, non ha potuto sostenere una spesa imprevista di 750 euro (26% al Centro-Nord). Nel 47% delle famiglie meridionali, vi è un unico stipendio, addirittura il 54% in Sicilia. Ha inoltre a carico tre o più familiari il 12% delle famiglie meridionali, un dato quattro volte superiore al Centro-Nord (3,7%), che arriva al 16,5% in Campania. A rischio povertà, a causa di un reddito troppo basso è quasi un meridionale su 3, contro 1 su 10 al Centro-Nord. In valori assoluti, al Sud, si tratta di 6 milioni 838 mila persone, fra cui 889 mila lavoratori dipendenti e 760 mila pensionati. Riguardo al titolo di studio, oltre 1 milione 100 mila ha un livello medio-alto, con 122 mila laureati.

La povertà «morde» particolarmente nelle piccole scelte quotidiane: nel 2008 nel 30% delle famiglie al Sud sono mancati i soldi per vestiti necessari e nel 16,7% dei casi si sono pagate in ritardo bollette di luce, acqua e gas. Otto famiglie su cento hanno tirato la cinghia rinunciando ad alimentari necessari (il 12% in Basilicata), il 21% non ha avuto soldi per il riscaldamento (27,5% in Sicilia) e il 20% per andare dal medico (il 25,3% in Campania e il 24,8% in Sicilia). Nel 2008 è arrivata con difficoltà a fine mese oltre una famiglia su 4 (25,9%) contro il 13,2% del Centro-Nord.

Gianni Di Capua

Fonte: www.iltempo.it - 21/07/2010

martedì 20 luglio 2010

Mezzogiorno. Una famiglia su 5 no ha i soldi epr curarsi

Lo rivela il rapporto SVIMEZ. L'invito del presidente Napolitano: "Ripensare i modelli di sviluppo".

Una famiglia meridionale su cinque non avrebbe i soldi per andare dal medico e non si potrebbe permettere di pagare nemmeno il riscaldamento. A rivelare i dati, relativi all'anno in corso, è il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno.

Secondo l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, infatti, nell'anno 2008 al 30% delle famiglie del Sud mancavano i soldi per l'abbigliamento e, nel 16,7% dei casi, sono state pagate in ritardo le bollette. Otto famiglie su 100 avrebbero inoltre rinunciato agli alimentari necessari, il 21% non avrebbe avuto soldi, proprio per il riscaldamento, e il 20% per andare dal medico. Per il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano- che ha inviato un telegramma proprio in occasione della presentazione del rapporto Svimez- le statistiche fotografano una realtà complessa e preoccupante. A detta di Napolitano sarebbe quindi necessaria una "profonda modifica" delle politiche di sviluppo per il Sud perché il Mezzogiorno può "benissimo contribuire alla ripresa dell'economia italiana".

"L'obiettivo di ridurre gli effetti della crisi finanziaria nel breve periodo è divenuto prioritario- ha spiegato il Capo dello Stato- e, in presenza di un ineludibile vincolo di contenimento del disavanzo pubblico, si è operato uno spostamento di risorse di cui hanno sofferto le politiche di sviluppo, come è dimostrato dalle ricadute sul quadro strategico nazionale, dal 2007-2013, a cui sono state sottratte ingenti dotazioni e che registra, a metà del periodo di programmazione, gravi ritardi". Il Presidente ha inoltre continuato, sottolineando come "i risultati complessivamente insufficienti delle politiche seguite in passato e la presenza di significative inefficienze rendono necessario un ripensamento e possono anche spingere ad una profonda modifica delle modalità e dello stesso impianto strategico degli interventi di sviluppo".

Secondo le cifre fornite da Svimez, quasi un meridionale su tre risulta a rischio povertà a causa di un reddito troppo basso,- 6milioni e 838mila persone- un rapporto che, al centro Nord, corrisponde a uno su dieci. Sempre secondo il rapporto, il 14% delle famiglie meridionali vivrebbe con meno di 1.000 euro al mese. Ed è da considerare anche che, il 47% delle famiglie meridionali, poggia su un unico stipendio.

L'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno ha, infine, spiegato che la crisi ha "eroso ulteriormente la ricchezza al Sud" tanto che, colpito duramente dalla recessione, il Pil di quest'area del Paese, nel 2009, è tornato ai livelli di ben 10 anni fa. E non solo, l'industria, il cui valore aggiunto è crollato del 15,8%, sarebbe addirittura "a rischio di estinzione". Nel corso del biennio 2008-2009 la crisi si è dunque abbattuta come una scure sull'occupazione nel meridione e l'industria del Mezzogiorno avrebbe perso più di 100mila occupati.

Fonte: www.libero-news.it - 20/07/2010

Sud: Bregantini, prendere positivo dalla Lega

CITTA' DEL VATICANO, 20 lug. - "Quello che la Lega, in positivo, ha compiuto a Nord, e' stato dare identita' alle regioni del Nord.
Pero', la Lega ha poi compiuto un errore, che e' quello di isolare il Nord dal Sud". Lo afferma mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro. "Al Sud - rileva ai microfoni della Radio Vaticana commentando i dati dell'Ismez - occorrerebbe una ripresa di dignita' e di coraggio, in modo che possa prendere in mano la propria storia per renderla il piu' possibile affrontabile e risolvibile". "Il mondo politico - chiede - deve sentire il Sud come una questione dell'Italia, non del Sud; d'altra parte, la gente del Sud deve sentire la propria storia come propria, prendendola in mano fino in fondo". Secondo mons. Bregantini, "la questione meridionale la si rimuove ormai da tanti decenni, e non la si vuole affrontare perche' affrontarla vuol dire rendere la questione meridionale questione nazionale, e questo non lo si vuole fare, perche' e' piu' comodo pensarla problema settoriale". "In realta' - spiega l'arcivescovo sacramentino - ha ragione don Sturzo: la questione meridionale sara' risolta solo quando essa diventera' questione 'nazionale', che e' poi il grande appello che gia' nel 1989 e tre mesi fa i vescovi hanno ribadito che 'il Paese non crescera' se non insieme". Per il presule, che e' stato a lungo vescovo di Locri e impegnato contro la 'ndrangheta, "la seconda causa e' purtroppo legata anche ad alcune disfunzioni culturali e anche religiose e spirituali che la gente del Sud si porta dietro, per cui il peggior nemico del Sud non e' la mafia, ma e' non credere al proprio futuro, il non essere forti nella propria identita'". Mons. Bregantini, osserva inoltre nell'intervista che i dati diffusi oggi rappresentano "la tragica conferma che i numeri danno ragione al cuore, perche' le sale di attesa dei vescovi sono gremite di persone che chiedono lavoro o che comunque domandano un aiuto, un'assistenza". "Intrecciando questi dati con quanto fanno le Caritas e le parrocchie, la situazione e' sempre piu' allarmante: il mondo del Sud - denuncia Bregantini - e' sempre piu' impoverito". Inoltre, "e' mancato, da parte del Nord e anche dello Stato, la coscienza che il problema della lotta alla mafia e' un problema di tutti e lo si e' delegato o affidato - tristemente - alle regioni meridionali, non averlo affrontato insieme, in alleanza, ha permesso alla mafia di estendersi, non solo: ma di capire che gli investimenti migliori per loro sono a Nord. La mafia pensa al Sud ma investe al Nord".

Fonte: www.agi.it - 20.07.2010

Al Sud l'industria arretra

ROMA - Non ci sono solo le incertezze su Termini Imerese e Pomigliano o le vertenze sul distretto del mobile e sul polo della cantieristica. E non c'è solo il rischio di fuga delle multinazionali. Ciò che resta dell'industria nel Mezzogiorno è un tessuto di imprese che con la crisi dell'ultimo biennio sembrano aver perso il treno, già estremamente lento, del recupero. Oggi la Svimez presenta il rapporto annuale abbinando deindustrializzazione e disoccupazione al Sud con numeri pesanti: nel solo 2009 sono stati persi 61mila posti nell'industria manifatturiera con un calo annuo del 7%, oltre tre punti in più rispetto al Centro-nord. Nel 2008-2009 sono andati in fumo 100mila unità di lavoro mentre l'universo industriale settentrionale, a più alta intensità di fabbriche, reggeva almeno parzialmente l'urto con il ricorso massiccio alla cassa integrazione.

Il biennio alle nostre spalle ha modificato gli standard di efficienza allargando i vecchi divari. Mentre le imprese manifatturiere del Centro-nord avviavano la transizione verso una struttura più evoluta, quelle meridionali finivano per privilegiare un utilizzo più flessibile del fattore lavoro o peggio, nel caso di micro-imprese, lambivano pericolosamente l'economia informale. La struttura di ricerca guidata dal direttore Riccardo Padovani e dal vicedirettore Luca Bianchi aggancia le statistiche alla complicata attualità. «Le cronache di questi mesi sugli stabilimenti Fiat di Termini e Pomigliano – si legge nel rapporto – evidenziano il rischio di spiazzamento che la nuova divisione internazionale del lavoro può determinare in aree che non possono essere concorrenziali sul costo del lavoro». Aree che, attraverso la chiusura di grandi impianti, potrebbero andare incontro a «forme di desertificazione» del tessuto di piccole industrie collegate.

Dall'analisi Svimez su un campione di imprese presenti nelle indagini Unicredit, emerge che solo una quota risicata mette a segno miglioramenti competitivi. Da un lato ci sono poche, e sempre meno, grandi imprese, quasi sempre di proprietà esterna all'area, dall'altra una messe di piccole aziende locali orientate al mercato interno, per le quali l'innovazione è residuale. Tutto questo, annota la Svimez, mentre gli aiuti alle imprese, soprattutto quelli a sviluppo regionale, sono in costante diminuzione. Il risultato è un arretramento anche rispetto alle aree deboli di altri paesi Ue. Nel 2004-2008 la variazione cumulata del prodotto industriale è risultata negativa del 2,4%, a fronte del +2,8% nel Centro-nord e in presenza di incrementi medi complessivi del 9,8% per la Ue a 27. Mentre le zone in ritardo di Germania e Spagna facevano crescere l'export rispettivamente del 14,5 e 9,4%, le regioni italiane dell'ex Obiettivo 1 si fermavano al 6,9%. E nel 2009 la caduta di output industriale è stata, con l'eccezione di Germania e Finlandia, quella di entità più ampia.

Differenziali che si estendono anche al mercato del lavoro. Campania, Basilicata, Sicilia e Calabria si collocano tra le ultime 10 nel ranking dei tassi di occupazione giovanile con valori al di sotto del 16%. La «questione giovanile» è il tema forte del capitolo Svimez sugli impatti sociali della crisi. Al Sud è stata colpita soprattutto la generazione di chi ancora cerca lavoro o lo ha appena trovato: nel 2009 gli occupati dai 15 ai 34 anni sono diminuiti di 175mila unità (-9% a fronte del -6% al Centro-nord). Molti di loro, insieme agli emigranti di "ritorno" che hanno perso il lavoro al Nord, finiranno per aggiungersi all'esercito di donne e uomini, quasi 6,5 milioni, che gravita tra lavoro sommerso e ricerca estemporanea di lavori saltuari, fuori dai canali monitorati.

L'eredità della crisi è destinata a pesare ancora a lungo su sviluppo e contesto sociale. Per il Sud, che con la recessione è ritornato in termini di Pil ai livelli di inizio anni duemila, si prospetta ora la sfida del federalismo fiscale. Un'occasione per guadagnare efficienza, ridurre sprechi e magari concentrare più saggiamente le risorse per la crescita. Con un caveat non da poco segnalato dalla Svimez: nella definizione di costi standard il legislatore dovrebbe considerare numerosi altri elementi, «dal peso dei fattori di scala e della struttura della popolazione e del territorio, all'incidenza delle attività produttive, ai differenziali di reddito pro capite».


I NUMERI

-4,5% Pil
È il calo del prodotto interno lordo nel Mezzogiorno registrato nel 2009. L'anno precedente la diminuzione era stata dell'1,5%

0,35% Incentivi
È il peso degli aiuti di stato per l'industria rispetto al Pil. La media della Ue a 27 è pari a 0,54%. In Germania si passa allo 0,63%, Francia e Spagna si posizionano a 0,5%

-3% Lavoro
Calo dell'occupazione al Sud nel 2009, di intensità tripla (-3%) rispetto al -1,1% del Centro-nord. In termini assoluti 194mila occupati in meno nel Mezzogiorno

Carmine Fotina

Fonte: www.ilsole24ore.com - 20 luglio 2010

sabato 17 luglio 2010

Le rinnovabili coprono il 100% dei consumi delle famiglie

ENERGIA

La produzione complessiva da fonti rinnovabili nel 2009 è giunta a coprire l'intero (100,6%) consumo di energia elettrica delle famiglie italiane. Nonostante la crisi che ha abbattuto la produzione tradizionale di elettricità dell'8,3%, la produzione "verde" - rivela un'elaborazione dell'Ufficio studi della Confartigianato - ha infatti continuato a correre: nel 2009 l'energia elettrica da fonti rinnovabili è salita del 19,2% rispetto al 2008, arrivando a un livello di produzione di 69.330 gigawattora (i consumi delle famiglie ammontano a 68.924 gigawattora). Nel 2008, la produzione verde copriva fino all'85% dei consumi casalinghi.

E spetta alla Puglia il primato della maggior produzione di elettricità da solare, seguita da Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte. Ed è sempre la Puglia la regione che lo scorso anno ha maggiormente incrementato la produzione da impianti fotovoltaici, con 72 gigawattora in più pari ad oltre un terzo dell'intera crescita (37,3%), seguita dalla Lombardia e dal Piemonte.
Non solo: nel confronto internazionale la piccola Puglia batte addirittura il gigante Cina per potenza di impianti solari installati, 161 mw contro i 160 cinesi.

Ma è tutta l'Italia a occupare una posizione di primissimo piano sul fronte dei pannelli solari. Sulla base dei dati 2009 dell'European PhotoVoltaic Industry Association (Epia), l'Italia è infatti il secondo mercato al mondo nel fotovoltaico con il 9,9% della potenza installata nell'anno, dietro alla Germania che da sola rappresenta il 51,6% del mercato mondiale.
Inserendo nel ranking mondiale il Mezzogiorno e il Centro Nord, emerge che le due aree del nostro Paese ricoprono entrambe una posizione di rilievo nel mercato mondiale collocandosi, rispettivamente, al quarto e al sesto posto della classifica: i 422 Mw del Centro Nord sono pari al 5,7% del mercato mondiale; i 289 Mw installati nel Mezzogiorno, sono pari al 3,9% del mercato mondiale pari alla potenza installata in Francia, Spagna e Portogallo messi insieme.

L'energia verde è anche fonte di occupazione e ottimo traino di ripresa: sempre secondo l'ufficio studi Confartigianato, nel primo trimestre 2010, anche dopo un anno di forte recessione, il settore delle imprese potenzialmente interessate alle fonti rinnovabili registra una crescita del 2,7%, più accentuata nel Mezzogiorno (+4,1%) e nel Centro (3,6%) mentre nel Nord la crescita è robusta ma con uno spunto minore (1,5%). Nel primi tre mesi in Italia vi sono poi 86.079 aziende (prevalentemente imprese di installazione di impianti elettrici in edifici o in altre opere di costruzione), potenzialmente interessate dalle fonti rinnovabili, con una stima di 332.293 occupati e una dimensione media per impresa di 3,9 addetti.

Fonte: www.avvenire.it - 19 luglio 2010

venerdì 9 luglio 2010

Le associazioni cattoliche per il Mezzogiorno

Contro la povertà

A cura del portavoce del Forum delle Persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel Mondo del Lavoro, dott. Natale Forlani, è stata presentata ieri a Roma, in piazza Montecitorio, la manifestazione prevista per il 28 settembre a Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Bari, collegate tra loro in via telematica. Oltre a Forlani, erano presenti i rappresentanti delle presidenze e delle segreterie delle associazioni che ne fanno parte: Cisl, Mcl, Confartigianato, Confcooperative, Acli, Compagnia delle opere. Il Forum chiede di aderire a 5 punti programmatici per il Mezzogiorno: trasparenza delle istituzioni, con il lancio della «Carta dei diritti dei cittadini»; rifiuto di utilizzare la Pa come bacino di assunzioni per risolvere il problema della disoccupazione al Sud; promozione di programmi di educazione alla legalità; diffusione di azioni di contrasto al sottoutilizzo di giovani e donne nel mercato del lavoro; adozione di programmi condivisi di contrasto alla povertà.

Mar. Coll.

Fonte: www.iltempo.it - 09.07.2010

giovedì 8 luglio 2010

Famiglie, diminuiscono i risparmi e cala il potere d'acquisto

CRISI ECONOMICA

Gli effetti della crisi economica continuano a pesare sulle tasche degli italiani. Secondo i dati Istat, nel primo trimestre dell'anno le famiglie italiane mostrano una contrazione del risparmio e del reddito. Nei primi tre mesi del 2010 la propensione risparmio delle famiglie si è ridotta di 1,6 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente attestandosi a quota 13,4%, si tratta del valore più basso da quando esistono le serie storiche trimestrali, ovvero dal 1999.
Mentre il reddito disponibile delle famiglie italiane nel primo trimestre del 2010 è diminuito del 2,6% in valori correnti rispetto allo stesso periodo del 2009. Il calo è invece dello 0,2% rispetto all'ultimo trimestre dell'anno scorso.

È quanto rileva l'Istat sottolineando che la spesa delle famiglie si è ridotta dello 0,7% rispetto a un anno prima ma è tornata a crescere dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti. Nello stesso periodo, il potere di acquisto delle famiglie, vale a dire il reddito disponibile in termini reali, è sceso dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e del 2,6% rispetto al primo trimestre del 2009.

Il tasso di investimento delle famiglie (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi delle famiglie, che comprendono gli acquisti di abitazioni e gli investimenti strumentali delle piccole imprese classificate nel settore, e il loro reddito disponibile lordo) si è attestato all'85%, 0,1 punti percentuali in meno rispetto al trimestre precedente, risentendo di una riduzione degli investimenti (-1,1%) superiore a quella del reddito disponibile (-0,2%). Rispetto al corrispondente periodo del 2009, gli investimenti fissi lordi delle famiglie si sono ridotti (-10,5%) in misura superiore alla flessione del loro reddito disponibile, determinando una riduzione del tasso di investimento del settore di 0,8 punti percentuali.

Sul versante delle imrpese, nel primo trimestre 2010, la quota di profitto delle società non finanziarie (data dal rapporto tra il risultato lordo di gestione e il valore aggiunto lordo a prezzi base) si è attestata al 40,6%, con un aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente: il risultato lordo di gestione delle società non finanziarie, infatti, è cresciuto dell'1,2%, in misura superiore all'aumento dello 0,4% registrato dal valore aggiunto.

Rispetto al corrispondente trimestre del 2009, invece, la flessione del risultato lordo di gestione si è attestata su livelli superiori a quella del valore aggiunto: pertanto la quota di profitto delle società non finanziarie ha perso 0,7 punti percentuali rispetto al primo trimestre del 2009. Prosegue, infine, la contrazione del tasso di investimento delle società non finanziarie (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi ed il valore aggiunto lordo ai prezzi base), che nel primo trimestre 2010 è stato pari al 22,3%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 2 punti percentuali nei confronti del corrispondente trimestre del 2009. Infatti, gli investimenti fissi lordi in valori correnti delle società non finanziarie hanno registrato, nel primo trimestre 2010 rispetto al corrispondente periodo del 2009, una flessione dell'11,2%, più marcata della pur forte contrazione registrata dal valore aggiunto (-3,3%).

Fonte: www.avvenire.it - 8 lulgio 2010

Il divario nei prezzi tra Nord e Sud

Bolzano e Milano i capoluoghi più cari, Napoli e Campobasso quelli meno
Si sente nel portafoglio, si sente nella crescita

Il costo del vivere al Nord è maggiore rispetto al Sud: questa affermazione è da molti anni al centro di un vivace dibattito e l’indagine dell’Istat sui comuni capoluogo resa nota ieri consente di confermarla in modo oggettivo, spostando in modo più costruttivo il dibattito sulle ragioni di tale divario.

Le città nelle quali il livello dei prezzi è più elevato sono Bolzano, Bologna e Milano mentre quelle nelle quali è invece più basso sono Napoli, Campobasso e Potenza: questi risultati indicano che il differente livello dei prezzi rispecchia il divario economico fra Nord e Sud e quindi l’analogo divario nel livello del prodotto pro-capite.

L’attuale indagine non consente di misurare il differenziale associato al divario del livello dei prezzi fra città e campagna, tuttavia occorre considerare che esiste una "campagna" sia intorno a Milano che intorno a Napoli: è plausibile pensare che nella cintura larga di Milano il costo della vita sia in media più basso, non diversamente da quanto avviene per la cintura larga di Napoli. Il fatto che il livello dei prezzi aumenti all’aumentare del prodotto pro-capite è un dato riconosciuto nel confronto fra Paesi e rappresenta la molla potente che sottende ai flussi migratori.

L’immigrato straniero in Italia che lavora e guadagna in euro affronta il sacrificio di lasciare la sua famiglia nel suo Paese di origine perché il piccolo risparmio che riesce a realizzare in euro, una volta trasmesso "in patria", diventa un multiplo elevato di potere di acquisto di beni per la sua famiglia, dove il livello dei prezzi è molto più basso. In questo caso il divario del livello dei prezzi fra Paesi è un fattore di convergenza economica.

Da pochi anni si riconosce che lo stesso meccanismo è all’opera anche all’interno di una medesima nazione: la differenza è che i divari interni del costo della vita contengono non solo fattori di convergenza, ma anche potenziali fattori di divergenza. A parità di salari nominali fra Nord e Sud, un più alto livello di prezzi al Nord comporta un livello più basso di salario reale, mentre a parità di salario reale fra Nord e Sud i salari nominali al Sud diventano invece più bassi.

Questo è proprio quanto accade nel settore pubblico e in parte del settore privato al Sud, e che al tempo stesso si accompagna a salari nominali più bassi nelle piccole imprese e nel sommerso. Sulla base di queste premesse ci si deve attendere che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito sia più elevata all’interno del Sud rispetto all’interno del Nord e ciò è quanto in effetti accade. Al più basso livello di prezzi può corrispondere una minore qualità del vivere, ad esempio per servizi pubblici come sanità o trasporti, sia perché le risorse sono inadeguate sia perché – anche se adeguate – sono utilizzate in modo non efficiente. L’individuazione dei costi standard regionali non è esente da questi problemi.

Ci possiamo altresì domandare se valga anche la relazione opposta, se cioè il livello e la crescita del prodotto pro-capite dipenda dal livello dei prezzi. La risposta, affermativa, emerge se isoliamo i costi legati all’abitazione, per i quali è massima la variabilità territoriale e il livello massimo viene registrato a Roma.

Questa situazione non favorisce certo la mobilità e l’efficienza necessaria al Paese e per questo una politica che favorisca la riduzione dei prezzi delle abitazioni appare indispensabile. L’Istat potrebbe aiutare con statistiche ancora più accurate sui prezzi.

Luigi Campiglio

Fonte: www.avvenire.it - 8 luglio 2010

mercoledì 7 luglio 2010

Molise primo nel Mezzogiorno per capacità di spesa dei fondi strutturali

Ieri l'incontro tra il governatore Iorio e il Ministro Fitto
Molise primo nel Mezzogiorno per l'impegno dei Fas e del Por

CAMPOBASSO Molise primo nel Mezzogiorno per capacità di spesa dei fondi strutturali.

Positivo l'esito della verifica sui Fas e sui Por, fatta dal ministro degli affari regionali Raffaele Fitto col governatore del Molise, l'assessore alla programmazione Vitagliano e i dirigenti regionali, nell'incontro che si è svolto ieri a Roma. Incontro in cui è stata verificata la concretezza di quanto asserito dal govserno regionale sulla capacità di spesa del Fas 2000-2006, al 63%, e del del FAS 2007-2013, al 14% (la Regione ha anticipato 60 milioni di euro per gli aiuti alle imprese). Nella riunione è stato anche messo a punto un percorso che porterà, entro fine settembre, all'impegno delle rimanenti percentuali dei Fas relativi ai due periodi. Stessa verifica positiva si è avuta per il POR 2000-2006 e 2007-2013. «Abbiamo sostanzialmente confermato - ha commentato Iorio - le performance di cui abbiamo sempre riferito. Una conferma che dimostra la tradizionale capacità della Regione Molise di realizzare pratiche efficaci e di porre in essere comportamenti virtuosi nell'utilizzo dei fondi per lo sviluppo del suo territorio. Siamo i primi nel Mezzogiorno - ha concluso il presidente- ma ora il nostro obiettivo è quello di essere sempre più virtuosi nella capacità di spesa. Per questo contiamo sulla disponibilità del Ministro Fitto a realizzare al più presto l'accordo complessivo sulla manovra dei fondi strutturali». Ca.Se.

Fonte: www.iltempo.it - 07.07.2010

venerdì 2 luglio 2010

Tremonti contro il Sud: "Basta cialtronerie"

Il Ministro dell'Economia si scaglia contro le amministrazioni comunali del Mezzogiorno che hanno a disposizione fondi dell'UE e non li sfruttano.

Le regioni del Sud nel mirino - Basta con la "cialtroneria" di chi protesta solamente. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, intervenendo all’Assemblea della Coldiretti si scaglia contro chi, al Sud, non fa gli interessi dei cittadini e non spende i fondi messi a disposizione dall’Ue.

L'incontro con il commissario - Il ministro ieri ha incontrato il commissario dell’Unione Europea ai fondi europei con il quale si è sottolineato il fatto che per il Sud c'è stato uno stanziamento nell’ambito del programma comunitario 2007-2013 pari a 44miliardi di euro, dei quali ne sono stati usati solo 3,5. "Questo è inaccettabile. E la colpa - ha detto Tremonti - non è dell’Europa, dei governi di destra o di sinistra, ma è colpa della cialtroneria di chi prende i soldi e non li spende. E siccome i soldi per il Sud saranno di più e non di meno nei prossimi anni allora non si può continuare con questa gente che sa solo protestare ma non sa fare gli interessi dei cittadini". Questo perché il mondo agricolo ha spesso rimproverato all’esecutivo di non aver fatto abbastanza per sostenere il settore, e lo stesso Tremonti riconosce che "nella bilancia del dare e avere, la bilancia sta più dalla parte di quello che voi date rispetto alla parte di quello che ricevete".

Etica agricola - "L'agricoltura italiana - ha detto il ministro - ha sofferto durante la crisi, anche nel Sud, reggendo però meglio di altri. Però in questo settore c'è patrimonio nell’accumulazione non di valore ma di etica. Per questo è diverso da altri come l’industria, dove puoi spostare capitali e impianti. In agricoltura non si delocalizza. Se va giù per rimetterla in piedi ci vogliono decenni. Per fare l'agricoltore non basta la tecnica, serve esempio, storia, sapienza ed esperienza". Inoltre, ha aggiunto, "l'industria non fa l’identità di un popolo, di uno stato, di una nazione. L'agricoltura, invece, è esattamente questo. Produce cibo, che è la prima e più profonda forma di cultura, produce paesaggio che è identità e forma di valori. Se viene meno l’agricoltura - ha aggiunto - si indebolisce l’anima del paese e di un popolo". Inoltre ha detto "io credo nell’agricoltura europea. Non possiamo chiedere autarchia e isolamento ma non possiamo neanche subire la follia del mercato a ogni costo. Ci vuole equilibrio. Non credo alla follia del mercato applicato comunque e dovunque".

Numeri - Dopo la fotografia della situazione economica del settore primario, a snocciolare i dati precisi è intervenuto il ministro delle politiche agricole Giancarlo Galan. E la crisi che ha investito il mondo agricolo assume dimensioni più concrete.
"Sapevo che l’agricoltura italiana non navigava nell’oro - ha esordito Galan -, ma quando ho assunto questo incarico non pensavo di trovare un settore dove il vostro reddito è calato del 36%. Allora mi sono detto che va difesa, in ogni sede, soprattutto tutelando quel Made in Italy che rappresenta la nostra carta vincente. Basta ricordare che per il falso made in Italy si spendono 80 miliardi in tutto il mondo, e noi dobbiamo recupare questi soldi perchè, in pratica, sono una manovra finanziaria nazionale, ma soprattutto un diritto per i cittadini e per gli operatori del settore".

Predica bene e razzola male - Ironizza sull'intervento del ministro dell'Economia il capogruppo del Pd alla commissione agricoltura, Nicodemo Oliverio.
"Nel vedere Tremonti sul palco della Coldiretti è stato automatico pensare che l’"assassino" torna sempre sul luogo del delitto: sono infatti i tagli di Tremonti che stanno mettendo in ginocchio un settore strategico per il rilancio della nostra economia nazionale e lo sanno bene i tanti agricoltori che erano presenti".

Fonte: www.libero-news.it - 02/07/2010