Intervista a Pietro Barcellona, filosofo del diritto: nel documento dei vescovi italiani la sfida di un itinerario che riconosca le risorse umane e culturali del Sud.
«Qui sono passate tutte le civiltà. Il Sud ha una vocazione all’universale che va valorizzata nei nostri giovani». Parla lo studioso che fu membro laico del Csm e voce autorevole del Pci di Berlinguer
Occorre la presa di coscienza che siamo al fondo del barile. Stiamo rischiando la perdite delle caratteristiche umane di questo Paese.
Perché questa deriva?
C’è sicuramente un fallimento generale della classe dirigente. Ma occorre che ciascuno faccia autocritica. Ecco un fatto che è segno dei tempi: i praticanti oggi in Sicilia sono il 10 per cento rapportato a un 'uso' dei sacramenti, specie del matrimonio, che si colloca al 90 per cento. È uno scarto enorme tra chi crede nella pratica quotidiana e chi invece ne fa una pura esteriorità, magari rituale.
Cosa significa questo?
Che la gente vive nella pura esteriorità. Questa trasformazione antropologica è avvenuta lentamente attraverso il dominio mass mediatico, che non è l’uso strumentale e politico della televisione, ma ciò che quotidianamente viene propinato a chi se la guarda e se la guarda a lungo. Con la definizione 'dominio mass mediatico' mi riferisco anche a quello che c’è in internet, quello che apparentemente è il mondo dell’intrattenimento ma che, invece, è la sostanza quotidiana della comunicazione tra gli uomini che non incontrano più nessuno, che non parlano più con nessuno, ma che seguono triangolazioni in rete. Tutto questo distrugge lo spazio interiore. Questo è una spiegazione della deriva. Come costruire un minimo di eticità, di tipo deontologico, religioso o filosofico, senza questo spazio interiore? Se una persona non è capace di prendere le distanze dal mondo, per poi tornarci con una carica vitale e motivata, se ci sta dentro come in un flusso che rende tutto passivo, come vuole che ci sia reazione?
La Chiesa pone infatti la questione educativa come priorità ineludibile. Per lei da cosa dovrebbe partire?
Un popolo è la sua paidèia, cioè la formazione dei bambini per i greci. Abbiamo avuto una grande
paidèia pagana, quella greca appunto; poi, per secoli, abbiamo avuto quella cristiana che è stato il modo in cui si è costruito la visione dell’essere umano; infine, abbiano avuto una
paidèia laica, dall’illuminismo in poi. Adesso non ne abbiamo nessuna. Se dovessi dire qual è il modello di mondo a cui i ragazzi guardano, non saprei rispondere, perché non c’è nessuna
paidèia.
E dunque come intervenire?
La paidèia comincia dalla nascita dei bambini. Questo Paese non solo non li fa nascere, ma non li ama. È impressionante il rifiuto di impegnarsi nel rapporto educativo con i propri figli. Un progetto culturale deve cominciare nelle famiglie. Dobbiamo rimettere i padri e le madri nella condizione di assumersi questo compito: mettere al mondo i figli come esperienza veramente creativa e non come avvenimento secondario. I ragazzi devono essere abituati ad avere stima di se stessi perché altrimenti sono incapaci di reagire al conformismo della droga o della malavita.
La Chiesa invoca la valorizzazione del patrimonio proprio del Sud. Qual è questo patrimonio specifico?
La prima risorsa è quella umana, un patrimonio bistrattato. Il Sud ha attitudini specifiche, e non mi riferisco a caratteristiche etniche di cui si parla al Nord: i giovani del Meridione sono naturalmente aperti, perché siamo terra su cui sono passate tutte le civiltà, per cui abbiamo una vocazione all’universale molto più spontanea. Questa vocazione va valorizzata, invece di mettere questi ragazzi in condizione di andare da un’altra parte.
È per modestia che non cita come esempio la scuola di alta formazione da lei diretta per far restare i giovani laureati al Sud?
Sono deluso dal fatto che in Italia non si forma più una classe dirigente. Cominciamo il 14 giugno a Catania, con due seminari intensi con docenti di qualità, a trattare i temi del rapporto tra progresso della scienza e conservazione dell’identità umana. Sono la prima tappa per la costruzione di un centro di alta formazione permanente finalizzata alla selezione di giovani che hanno davvero la vocazione per la direzione politica, sociale o culturale. Abbiamo bisogno di classe dirigente: è per noi una vera emergenza.
Dunque ha ragione il documento Cei, quando dice che la soluzione non può essere soltanto economicista, ma è culturale?
Alla base di tutto deve esserci un progetto educativo che riabitui le nuove generazioni a vedere la bellezza. La bellezza è una categoria molto simile al bene. Secondo me, al bene ci si arriva solo attraverso la bellezza. Se la gente non è capace di vedere la bellezza delle cose non è nemmeno capace di fare cose buone.
«Oggi serve un progetto educativo che riabitui i giovani alla bellezza, via indispensabile al bene»
Fonte www.avvenire.it
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento