domenica 28 febbraio 2010

«Parte dall’educazione il riscatto del Mezzogiorno»

Intervista a Pietro Barcellona, filosofo del diritto: nel documento dei vescovi italiani la sfida di un itinerario che riconosca le risorse umane e culturali del Sud.

«Qui sono passate tutte le civiltà. Il Sud ha una vocazione all’universale che va valorizzata nei nostri giovani». Parla lo studioso che fu membro laico del Csm e voce autorevole del Pci di Berlinguer

Occorre la presa di coscienza che siamo al fon­do del barile. Stiamo rischiando la perdite delle caratteristiche umane di questo Paese.
Perché questa deriva?
C’è sicuramente un fallimento generale della classe dirigente. Ma occorre che ciascuno faccia autocritica. Ecco un fatto che è segno dei tem­pi: i praticanti oggi in Sicilia sono il 10 per cen­to rapportato a un 'uso' dei sacramenti, specie del matrimonio, che si colloca al 90 per cento. È uno scarto enorme tra chi crede nella pratica quotidiana e chi invece ne fa una pura esterio­rità, magari rituale.

Cosa significa questo?
Che la gente vive nella pura esteriorità. Questa trasformazione antropologica è avvenuta lenta­mente attraverso il dominio mass mediatico, che non è l’uso strumentale e politico della televi­sione, ma ciò che quotidianamente viene pro­pinato a chi se la guarda e se la guarda a lungo. Con la definizione 'dominio mass mediatico' mi riferisco anche a quello che c’è in internet, quello che apparentemente è il mondo dell’in­trattenimento ma che, invece, è la sostanza quo­tidiana della comunicazione tra gli uomini che non incontrano più nessuno, che non parlano più con nessuno, ma che seguono triangolazio­ni in rete. Tutto questo distrugge lo spazio inte­riore. Questo è una spiegazione della deriva. Co­me costruire un minimo di eticità, di tipo deon­tologico, religioso o filosofico, senza questo spa­zio interiore? Se una persona non è capace di prendere le distanze dal mondo, per poi tornar­ci con una carica vitale e motivata, se ci sta den­tro come in un flusso che rende tutto passivo, co­me vuole che ci sia reazione?

La Chiesa pone infatti la questione educativa come priorità ineludibile. Per lei da cosa do­vrebbe partire?
Un popolo è la sua paidèia, cioè la formazione dei bambini per i greci. Abbiamo avuto una gran­de
paidèia pagana, quella greca appunto; poi, per secoli, abbiamo avuto quella cristiana che è stato il modo in cui si è costruito la visione del­l’essere umano; infine, abbiano avuto una
paidèia laica, dall’illuminismo in poi. Adesso non ne abbiamo nessuna. Se dovessi dire qual è il modello di mondo a cui i ragazzi guardano, non saprei rispondere, perché non c’è nessuna
paidèia.

E dunque come intervenire?
La paidèia comincia dalla nascita dei bambini. Questo Paese non solo non li fa nascere, ma non li ama. È impressionante il rifiuto di impegnar­si nel rapporto educativo con i propri figli. Un progetto culturale deve cominciare nelle fami­glie. Dobbiamo rimettere i padri e le madri nel­la condizione di assumersi questo compito: met­tere al mondo i figli come esperienza veramen­te creativa e non come avvenimento seconda­rio. I ragazzi devono essere abituati ad avere sti­ma di se stessi perché altrimenti sono incapaci di reagire al conformismo della droga o della ma­lavita.

La Chiesa invoca la valorizzazione del patri­monio proprio del Sud. Qual è questo patrimo­nio specifico?
La prima risorsa è quella umana, un patrimonio bistrattato. Il Sud ha attitudini specifiche, e non mi riferisco a caratteristiche etniche di cui si par­la al Nord: i giovani del Meridione sono natural­mente aperti, perché siamo terra su cui sono passate tutte le civiltà, per cui abbiamo una vo­cazione all’universale molto più spontanea. Que­sta vocazione va valorizzata, inve­ce di mettere que­sti ragazzi in con­dizione di andare da un’altra parte.

È per modestia che non cita co­me esempio la scuola di alta for­mazione da lei di­retta per far resta­re i giovani lau­reati al Sud?
Sono deluso dal fatto che in Italia non si forma più una classe dirigente. Cominciamo il 14 giu­gno a Catania, con due seminari intensi con do­centi di qualità, a trattare i temi del rapporto tra progresso della scienza e conservazione dell’i­dentità umana. Sono la prima tappa per la co­struzione di un centro di alta formazione per­manente finalizzata alla selezione di giovani che hanno davvero la vocazione per la direzione po­litica, sociale o culturale. Abbiamo bisogno di classe dirigente: è per noi una vera emergenza.

Dunque ha ragione il documento Cei, quando dice che la soluzione non può essere soltanto economicista, ma è culturale?
Alla base di tutto deve esserci un progetto edu­cativo che riabitui le nuove generazioni a vede­re la bellezza. La bellezza è una categoria molto simile al bene. Secondo me, al bene ci si arriva solo attraverso la bellezza. Se la gente non è ca­pace di vedere la bellezza delle cose non è nem­meno capace di fare cose buone.
«Oggi serve un progetto educativo che riabitui i giovani alla bellezza, via indispensabile al bene»

Fonte www.avvenire.it

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