Il documento della Cei "Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno" è stato letto da più parti come una forte e chiara presa di posizione nei confronti della criminalità organizzata. In realtà esso è certamente anche questo, ma al tempo stesso molto di più. È la coraggiosa denuncia del sussistere e dell’aggravarsi, per certi aspetti, di una 'questione meridionale' che sembrava da tempo cancellata dall’ordine del giorno dell’opinione pubblica e dei politici e sostituita, nell’attenzione generale, dall’imporsi della 'questione settentrionale'. È la chiara presa di posizione di fronte alle spinte federaliste connesse a quest’ultima. È un’acuta analisi delle radici del ritardo del Mezzogiorno e delle sue risorse. È la proposta di una strategia – innanzi tutto di carattere culturale ed educativo – attraverso cui imboccare risolutamente la via del riscatto. Riprendiamo con ordine, brevemente, queste indicazioni. Della 'questione meridionale' non si parla più, ma essa non è stata risolta, osservano i vescovi. Senza «perdere di vista ciò che di buono è stato fatto in questi anni» (n.13), bisogna riconoscere che i nodi del sottosviluppo del Sud non sono stati sciolti. Anzi, a quelli antichi se ne sono aggiunti in questi ultimi anni di nuovi, ancora più inquietanti. Un’attenzione particolare il documento dedica all’emigrazione, che porta tanti giovani meridionali a trasferirsi al Nord o in altri Paesi. Non sono più, come in passato, poveri braccianti senza altra dotazione che la loro forzalavoro: «Oggi sono anzitutto figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale categoria dei nuovi emigranti. Questo cambia i connotati della società meridionale, privandola delle sue risorse più importanti e provocando un generale depauperamento di professionalità e competenze» (n.10). Di fronte a questi fenomeni, è tutto il Paese che deve sentirsi coinvolto. Non per scaricare i meridionali di una responsabilità a cui solo loro possono far fronte, ma per aiutarli in questo impegno da cui dipendono le sorti di tutta la nostra nazione. «Proprio per non perpetuare un approccio assistenzialistico alle difficoltà del Meridione, occorre promuovere la necessaria solidarietà nazionale». Da qui il calibrato giudizio relativo al federalismo: «La prospettiva di riarticolare l’assetto del Paese in senso federale costituirebbe una sconfitta per tutti, se il federalismo accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia». Ciò che serve, sottolineano i vescovi, è un «federalismo solidale», che «rappresenterebbe una sfida per il Mezzogiorno e potrebbe risolversi a suo vantaggio», costringendo in qualche modo gli amministratori meridionali a «rendersi direttamente responsabili della qualità dei servizi erogati ai cittadini» (n.8). «Il problema dello sviluppo del Mezzogiorno non ha solo un carattere economico, ma rimanda inevitabilmente a una dimensione più profonda, che è di carattere etico, culturale e antropologico». È necessario promuovere una «cultura del bene comune, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità: sono i capisaldi che attendono di essere sostenuti e promossi all’interno di un grande progetto educativo». La convinzione che domina tutto il documento è infatti che «uno sviluppo autentico e integrale ha nell’educazione le sue fondamenta più solide». E proprio in riferimento a questo si sottolinea che, da parte sua, «la Chiesa deve alimentare costantemente le risorse umane e spirituali da investire in tale cultura per promuovere il ruolo attivo dei credenti nella società». Questo impegno «sollecita un’azione pastorale che miri a cancellare la divaricazione tra pratica religiosa e vita civile» (16). In questo modo il Mezzogiorno non sarà più una 'questione', ma «un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso rispetto ai modelli che i processi di modernizzazione spesso hanno prodotto» (n.17).
Dipende da tutti – innanzitutto dai meridionali – che sia così.
Giuseppe Savagnone
Fonte: www.avvenire.it
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