domenica 14 marzo 2010

Più coraggio per il Sud

di Alberto Bobbio

CHIESA: TRE VESCOVI COMMENTANO LA NOTA CEI SUL MEZZOGIORNO

«La nostra gente deve ridiventare protagonista», dice Morosini di Locri. «Forse bisognava essere più chiari, anche nelle responsabilità di una Chiesa troppo timida».

Scuoterà la Chiesa il documento della Cei sul Mezzogiorno? E scuoterà il Paese? Tre vescovi in prima linea ne discutono con passione e sperano che non faccia la fine di quello di vent’anni fa, che ha occupato gli scaffali delle biblioteche. Lo dice monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: «Se dopo Pasqua nessuno ne parlerà più, avremo fallito».

Il testo è assai severo e lancia allarmi. Mette in fila questioni di importanza capitale per l’intero Paese e non solo per il Sud. Eppure, è qui che le preoccupazioni sono più elevate. Osserva monsignor Giuseppe Morosini, vescovo di Locri in Calabria: «Non abbiamo bisogno di solidarietà gratuita né da parte dello Stato, né delle Regioni, né delle altre diocesi. Questo documento servirà se ognuno farà la propria parte».

Ecco il punto, che monsignor Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, spiega così: «A volte manca il coraggio. Ci chiudiamo nelle chiese, non ci sporchiamo le scarpe a camminare nelle strade. Dobbiamo impegnarci a costruire comunità cristiane antagoniste, alternative alla cultura della rassegnazione, della violenza, dell’usura, del pizzo, del lavoro nero».


Scritta in memoria di don Diana (foto Pischetola/Fotoagenzia Napoli).

Ma c’è anche altro che il vescovo di Agrigento sottolinea: «Ci siamo occupati del sacro e non della fede. La gente ci chiede sacramenti e noi glieli diamo. Ma nascondiamo la parola di Dio e sosteniamo un’idea di Chiesa intrecciata attorno alle devozioni, che possono consolare, ma non incidono e non cambiano i comportamenti».

Mogavero teme che la Chiesa diventi icona dell’antimafia: «Tanto c’è la Chiesa che parla. È quello che mi dà più fastidio. Ma anche al nostro interno funziona così. Ci sono preti e laici contenti perché parlano i vescovi. E loro?».

Riprende l’autocritica della nota della Cei sul fatto di non aver accolto, fino in fondo, la lezione di Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi e il suo grido contro le mafie: «Non tutti siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Non abbiamo avuto il coraggio di dirci la verità per intero, siamo noi i primi a non essere stati nemici della corruzione e del privilegio. Non va moralizzata solo la vita pubblica, ma anche quella delle nostre chiese. E la parola terribile "collusione" deve far riflettere anche nelle nostre comunità».

Il vescovo di Mazara propone una via: «Basta con le prese di posizione ovattate. Ogni comunità, ogni parrocchia, ogni diocesi scelga un argomento in relazione alla situazione del proprio territorio e agisca: pizzo, usura, corruzione della politica, mafia devota che offre soldi per le feste popolari. Però, bisogna essere pronti a pagare di persona». Montenegro sostiene che qualche provocazione può favorire la riflessione: «Io non ho messo i Re Magi nel presepe, spiegando che sono stati respinti alla frontiera come clandestini. È servito alla gente per rendersi conto in quale Paese stralunato dall’ossessione per la sicurezza stiamo vivendo. Proporrò di abolire ogni festa religiosa nei paesi dove si contano gli omicidi. Il sacro non basta per ritenersi a posto, se poi nessuno denuncia, e la cultura mafiosa è l’unica ammessa».

Spiega Morosini: «La nostra gente deve tornare a essere protagonista. E si diventa protagonisti con il voto e con volti nuovi». Il vescovo di Locri ha partecipato a una manifestazione contro la soppressione di 12 treni: «Proteste inutili, perché manca un progetto per la Locride. La nostra classe politica è inadeguata. Nel documento c’è una frase su questo tema. All’assemblea dei vescovi avevo chiesto di dedicare un capitolo intero». Morosini non accetta le critiche sull’azione troppo debole della Chiesa: «L’azione del vescovo Bregantini non può essere dimenticata. Di altri non parlo. Ma, forse, bisognava essere più chiari, anche nelle responsabilità di una Chiesa a volte troppo timida».

Alberto Bobbio


LA SCOMUNICA PER I MAFIOSI
Non c’è la parola "scomunica" per i mafiosi nel documento della Cei sul Sud, anche se alcuni vescovi avevano chiesto di dedicare un capitolo alla questione. La decisione sarebbe stata di natura giuridica e canonica: gli episcopati non possono emettere sentenze di scomunica. Poi sarebbe stato difficile individuare la categoria dei destinatari.

Il segretario della Cei monsignor Mariano Crociata riferendo della discussione sul testo all’ultima assemblea della Cei ad Assisi aveva affermato che «non c’è bisogno di comminare esplicite scomuniche: chi fa parte delle organizzazioni criminali è automaticamente fuori dalla Chiesa».

Eppure, già nel 1944 la Chiesa siciliana comminava la scomunica, «a tutti coloro che si fanno rei di rapina o di omicidio ingiusto e volontario». Ma non si parlava di mafia. Nel 1952 previdero la scomunica per gli autori di delitti che si potevano collegare alle attività della mafia. Nel 1982, dopo la strage di via Carini dove morirono Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro, i vescovi siciliani precisarono che la scomunica colpisce, oltre gli autori, anche i mandanti degli omicidi. E qualche anno dopo il settimanale cattolico Novica spiegò che la scomunica ai mafiosi è latae sententiae, cioè automatica e vale solo per i siciliani. Ma aggiungeva che il mafioso è al bando in tutta la Chiesa.

A.Bo.
Fonte www.famigliacristiana.it

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